L’evoluzione dei trattori Oto dal modello “R3” al “C 25 C”

Il 19 luglio del 1950, nell’aia della cascina di Gelindo Capelli, a Zola Predosa, nel bolognese, venne consegnato un trattore rosso, mai visto prima. Si trattava di un Oto “R3”, un tre ruote un po’ esile nell’aspetto, ma che dichiarava 17 cavalli, più di quanti ne avesse mai avuti Gelindo Capelli nella sua stalla. Agli anziani di casa ricordò vagamente i “Mogul” americani degli Anni 20 mentre i giovani, più interessati alla meccanica, osservarono che il cilindro orizzontale faceva pensar e a una versione fuoristrada e agricola della Moto Guzzi “Astore”.

Due similitudini che, nel complesso, rappresentavano altrettanti apprezzamenti. La maneggevolezza dei “Mogul” era in effetti proverbiale e superiore a quella di qualsiasi altro trattore, mentre l’”Astore” era famoso per la sua affidabilità.

Il cilindro del motore del nuovo Oto operava inoltre come quello di “Astore” sulla base del ciclo quattro tempi risultando di conseguenza molto silenzioso. Un esordio positivo quindi per un trattore che rappresentava il primo cimento nel settore per l’azienda spezzina Oto, acronimo della società costituita nel 1929 dai cantieri navali Odero, Terni e Orlando che a loro volta avevano inglobato le società Vikers-Terni e Fiat-Ansaldo-San Giorgio dando vita al più imponente complesso cantieristico nazionale.

Oto e l’assorbimento in Iri

Nel 1935, in seguito alla crisi mondiale, la Società venne poi assorbita dall’Iri, a sua volta acronimo di “Istituto per la ricostruzione Industriale”, organizzazione statale destinata a salvaguardare il patrimonio produttivo italiano re-indirizzandolo verso le produzioni militari più disparate, dalle bombe a mano alle artiglierie navali e terrestri passando attraverso incrociatori, esploratori, caccia, corvette e sommergibili. Proprio a causa di questo suo orientamento, nel 1945 con la fine del Conflitto il gruppo Oto si ritrovò a dover ripartire da zero in termini progettuali e costruttivi. Le produzioni belliche dovevano in effetti essere sostituite da quelle civili con la conseguenza che i progettisti Oto dovettero per la prima volta confrontarsi con i problemi relativi all’economicità dei prodotti finali e con volumi di produzione diversi da quelli bellici. Da qui la decisione di approcciare il mercato con prodotti di una certa mole e sempre orientati a un unico cliente, lo Stato, lo stesso che aveva sostenuto Oto durante la Guerra. Ferrovie, difesa e trasporti marittimi le aree d’azione individuate di primo acchito, ambiti cui però se ne affiancarono poi altri man mano che i dirigenti Oto si resero conto che lo Stato non era ricco e neppure prodigo e quindi era necessario dar luogo a produzioni di grandi volumi destinate a utenti finali.

Oto e i trattori

Due furono in particolare i prodotti sui quali Oto focalizzò la sua attenzione puntando in entrambi i casi sul concetto di “piccolo e bello”, i veicoli fuoristrada e i trattori.

I primi si concretizzarono in un prototipo che avrebbe dovuto proporsi quale concorrente delle vetture Jeep e Land Rover, ma tale iniziativa fu poi abbandonata quando Alfa Romeo, altra azienda di Stato e per di più specialista proprio nella produzioni automobilistiche, decise di mettere in produzione la sia “Ar Matta”. Andò meglio al trattore, il cui studio venne affidato a un giovane ingegnere, Camillo Corradi, che aveva fatto scintille nella progettazione di armi automatiche pesanti, fiore all’occhiello dell’Azienda durante i Conflitto, e che era abituato a ragionare in un’’”ottica degli armamenti”, cioè con un occhio alla concorrenza per vedere cosa offriva il mercato, ma con l’altro che guadava avanti per dar luogo a soluzioni tecniche nuove ed esclusive.



Va precisato che tale mentalità derivava dall’ambito in cui Camillo Corradi si era formato, quell’università di Bologna che, unica in Italia, permetteva di laurearsi in ingegneria “elettromeccanica”, specializzazione nata da una collaborazione fra l’Università e la “Società Scientifica fratelli Ducati” che permise all’Italia di maturare centinaia di brevetti internazionali. La volontà di lavorare sempre in un’ottica di innovazione permise a Corradi di realizzare armi automatiche apprezzate in tutto il Mondo e fu anche alla base del progetto relativo ai trattori, 28 modelli, mossi da cinque diverse motorizzazioni mono e bicilindriche eroganti da 17 a 40 cavalli che andavano a muovere mezzi operanti tramite quattro o tre ruote piuttosto che cingoli.

Trattori Oto: l’R3

Il primo trattore, “R3”, venne commercializzato nel 1950 e subito stupì il mercato presentandosi con un carro portante basato su un motore monocilindrico orizzontale, un diesel quattro tempi con distribuzione a valvole in testa, iniezione diretta e raffreddamento ad aria.

Versione del primo prototipo di “R3”

La cilindrata di mille e 717 centimetri cubi era ottenuta mediante un alesaggio di 125 millimetri e una corsa di 140 mentre per gestire l’erogazione era prevista una trasmissione a sei marce. Proposto al mercato al prezzo di 900 mila lire “R3” non trovò concorrenti in quanto “25R” di Fiat montava ancora il motore a petrolio del vecchio modello “600” e costava un milione e 300 mila lire, quotazione che i mezzi stranieri di potenza omologa, i Deutz-Fahr “F1 L 514”, i i Guldner “Af15” e gli Steyr “80”, superavano abbondantemente. Nel 1951 Oto fece seguire a “R3”, due versioni a quattro ruote e a due ruote appaiate anteriori che portarono il Marchio a occupare il terzo posto nel mercato nazionale dopo Fiat e Landini, ma tale posizione venne conquistata con volumi ridotti, 353 esemplari, che fecero intuire all’Azienda quanto fosse difficile il mercato della meccanizzazione agricola causa la “fedeltà” degli operatori ai Marchi da loro prediletti.



Nonostante il  rapporto qualità-prezzo concorrenziale la diffusione degli Oto non fu così rapida come sarebbe stato logico aspettarsi, complice anche una certa difficoltà di avviamento che sui primi modelli era provocata da una imprecisa regolazione della pompa di iniezione. Un problema superato quasi subito ma che la concorrenza enfatizzò ad arte e che ancora oggi gli Oto si portano dietro. Ciò non frenò comunque gli entusiasmi dei progettisti Oto che già nei primi mesi del 1951 avviarono la produzione di una  versione cingolata per controbattere il successo di Fiat nel settore.

Trattori Oto: dall’R3 al “C 25 C”

Per realizzare la macchina si avvalsero della collaborazione di Giorgio Tanzi, un tecnico parmense noto quale costruttore di carioche di ottima qualità. Tanzi si recò a Modena da Ennio Bertani, che costruiva catenarie di ricambio per cingolati in generale, e acquistò delle catenarie originali Fiat progettò un loro adattamento industrialmente compatibile che impattò positivamente anche sul cofano di “R3” rendendolo più squadrato. Il prototipo del cingolato venne ripetutamente collaudato fino  alla fine del 1952 e ciò permise a Oto di immettere sul mercato il mezzo nel 1954 in contemporanea con Same “Da 25 Dt”.

Nel 1957 la Casa lanciò poi anche due trattori siglati “C25Rc” e “C45Rc” con ruote e cingoli  intercambiabili nella stessa officina dell’agricoltore e a tali mezzi seguirono poi i cingolati “Primosole”, del 1957, “18C”, del 1959, “C40C”, nel 1960 e “C30C”, nel 1962.

L’avventura agricola di Oto avrebbe certamente potuto proseguire, ma agli inizi degli Anni 60 gli avvenimenti internazionali fecero ritornare di attualità gli armamenti e il Gruppo non perse l’occasione per ritornare attore protagonista nel settore della difesa. Da quel momento cessò la produzione dei trattori per dar spazio ai più moderni sistemi d’arma, gli stessi che sono ancora oggi prodotti dal gruppo Finmeccanica nel quale è stata fatta confluire l’azienda ligure a partire dal primo gennaio di quest’anno.

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Titolo: L’evoluzione dei trattori Oto dal modello “R3” al “C 25 C”

Autore: William Dozza

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